Scritto da Lao She tra il 1932 e il 1933, è un duro atto d’accusa contro il Partito nazionalista cinese e la società cinese degli anni Trenta del secolo scorso

Una società corrotta, senza valori e senza prospettive. È questa la Città di gatti (traduzione di Edoarda Masi, Mondadori, 2024) raccontata da Lao She nel suo romanzo scritto tra il 1932 e il 1933.

città di gatti_coverDescritto come il primo romanzo di fantascienza della letteratura cinese e uno dei primi racconti dispotici, Città di gatti racconta la vicenda di un pilota cinese che, durante una manovra d’emergenza, approda su Marte, dove si ritrova circondato da uomini gatto, di cui non conosce né la lingua né la cultura né le abitudini. Accolto ad alcuni di loro, Grande Scorpione prima e suo figlio Piccolo Scorpione poi, si avvicina a questa società misteriosa e comincia a comprenderne le caratteristiche. Più si addentra in questa società di uomini gatto e più si rende conto di essere finito una società profondamente corrotta, totalmente soggiogata dagli stranieri, priva di morale e senza scrupoli, in cui tutti si nutrono di foglie di loto.

Ma la Città di gatti che anima il pianeta Marte non è altro che una rappresentazione fantastica e distopica della società cinese degli anni Trenta del secolo scorso e le foglie di loto sono chiaramente la rappresentazione del consumo di oppio, diventato nel corso dell’Ottocento una vera e propria piaga sociale.

In Città di gatti, Lao She sferra un duro atto d’accusa contro il Partito nazionalista cinese di Chiang Kai-shek e la società in cui vive. Fondato da Sun Yat-sen per attuare una trasformazione del Paese in senso democratico, nel 1912 vinse le elezioni, ma l’anno successivo fu estromesso dal potere da Yuan Shikai. Nel 1925, alla morte di Sun Yat-sen, il partito passò nelle mani di Chiang Kai-shek, che guidò il Paese dal 1928 al 1949, anno in cui si concluse la guerra civile tra nazionalisti e comunisti, con il trionfo di questi ultimi e la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese da parte di Mao Zedong. I membri del Partito Nazionalista furono costretti a rifugiarsi a Taiwan, dove diedero vita alla Repubblica di Cina e Chiang Kai-shek ne assunse il ruolo di presidente.

Lao She fa un’analisi lucida e spietata della società del suo tempo, dandone una rappresentazione grottesca e affidandosi al suo consueto umorismo. La sua è una condanna senza appello che riguarda sia il popolo, incapace di riscattarsi, sia la classe politica, irrimediabilmente corrotta. Ai suoi occhi non c’è una via d’uscita, non c’è nulla da salvare né una possibilità per risalire la china .

Proprio da questo nascerebbe, come spiega la traduttrice Edoarda Masi nella postfazione, la constatazione dello stesso Lao She relativa al fatto che Città di gatti sia «un’opera fallita per difetto di intelligenza e di humor», in quanto «avrebbe dovuto essere una satira ma, a causa dell’assenza di idee positive, finì per trasformarsi in un lamento o in sermone». Anche se, precisa Masi, «non si può essere certi della sincerità di questo giudizio negativo».

Al di là di questo, però, sottolinea la traduttrice, «se Città di gatti fosse solo l’espressione di quella rabbia e di quello sconforto, resterebbe poco più di un documento storico-culturale del tempo. Ma a distanza di cinquant’anni e da un altro continente possiamo dire che è qualcosa di più, nonostante la frammentarietà e i dislivelli di tono e di qualità. Gli eventi occorsi da quando il libro fu scritto, anziché allontanarlo, lo rendono più attuale e fanno sì che la satira si estenda per tempo e per luogo oltre il suo oggetto contingente – la Cina e il Guomindang del 1932».

 

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Città di gatti di Lao She
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