Nuova edizione degli appunti di viaggio raccolti dal saggista e semiologo francese durante le tre settimane trascorse in Cina nel 1974. Pubblicati postumi nel 2009, raccontano la realtà cinese dell’epoca attraverso annotazioni e commenti, spesso ironici, mai retorici

In occasione del centenario della nascita di Roland Barthes, il 12 novembre 2015 è uscita in libreria una nuova edizione de I carnet del viaggio in Cina (O barra O edizioni, 256 pagine, 15 euro), arricchita dalla prefazione della giornalista, scrittrice e sinologa, Renata PisuPubblicati postumi in Francia nel 2009, sono appunti di viaggio, non pensati per la pubblicazione, che Barthes raccolse tra l’11 aprile e il 4 maggio 1974, quando si recò in Cina con il filosofo François Wahl e una delegazione della rivista Tel Quel, con cui collaborava.

Il serrato programma di visite ufficiali che scandì quei giorni in Cina ricalcò lo schema comune seguito in quegli anni per gli occidentali in visita nel Paese. La delegazione fu portata a visitare fabbriche e scuole, ospedali e coltivazioni, ad assistere a spettacoli e a partecipare a pranzi. Un itinerario rigidamente prestabilito, durante il quale gli accompagnatori snocciolavano informazioni e dati per illustrare i successi della Cina maoista, nel pieno svolgimento della campagna contro Confucio e Lin Biao. Ma questo percorso fatto di stereotipi e intriso di ideologia non convinse Barthes, che mostrò una certa insofferenza e insoddisfazione. «Noi siamo, con l’Agenzia, varca-barriere: attraversiamo i muri delle stazioni, degli alberghi, delle fabbriche senza mai un arresto, una formalità, una verifica», scrisse il 24 aprile mentre si trovava in treno viaggiando da Luoyang a Xi’an.

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Una volta rientrato in Francia, l’unico testo che scrisse fu un articolo pubblicato da Le Monde, intitolato Alors, la Chine?, in cui, come sottolinea nella prefazione al libro Renata Pisu, ricorre al «discorso neutro, del parlare senza dire, un escamotage che aveva deluso i più permettendogli però di giocare a nascondino con se stesso, per non dire con la verità. Se dalla Cina era tornato con “niente”, per sottile vendetta era riuscito, in quel caso, a scrivere “niente”, pur inanellando parole e parole». L’esatto contrario di quello che emerge dai carnet. Pur non avendo l’organicità di un testo, i suoi appunti di viaggio riescono a comunicare quello che davvero lo ha colpito della Cina. Le sue impressioni e i suoi pensieri colgono con lucidità e al di là dell’ideologia la realtà cinese dell’epoca. Si sofferma sulle persone, sui paesaggi, sul cibo e sui gesti della quotidianità, fermando nelle frasi spezzate e nelle parole appuntate nei suoi carnet, senza il filtro della riscrittura e della revisione, immagini fortemente reali, commenti spesso ironici e mai retorici, raccolti nel corso di quel viaggio istituzionale.

Il suo piano originario era quello di scrivere un testo delle sue tre settimane trascorse in Cina, come aveva già fatto dopo il suo viaggio in Giappone del 1970, quando aveva scritto L’Impero dei segni. A questo sarebbero dovuti servire, quindi, i suoi appunti. Tre quaderni scritti con una biro blu e un pennarello, due portati con sé dalla Francia e un terzo acquistato in Cina. In un quarto taccuino aveva tracciato anche un indice tematico. Ma al suo ritorno in Francia i carnet gli servirono esclusivamente per stilare un rapporto sulla Cina che espose durante un seminario all’École Pratique des Hautes Études, ai lettori del tempo destino solo l’articolo uscito su Le Monde, mentre i suoi appunti finirono in un cassetto. Fino a quando, trentacinque anni dopo, nel 2009, il suo fratellastro e unico erede, Michel Salzedo, ha deciso di pubblicarli.

Lea Vendramel – Cina in Italia – Dicembre 2015

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I carnet del viaggio in Cina
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