Luigi Ballerini racconta un amore adolescenziale che mette a confronto due culture, raccontando una storia di immigrazione e integrazione

Mi sono imbattuta in Non chiamarmi Cina! di Luigi Ballerini (Giunti, 2012) per caso, mentre cercavo nuovi titoli che avessero a che fare con la Cina.

non chiamarmi cina copertinaÈ un breve romanzo per ragazzi, scritto in forma di diario dal protagonista maschile della storia, Toto.

Toto ha diciassette anni,  vive a Milano, gioca a calcio, ha il suo giro di amici e sogna di diventare calciatore professionista. La sua routine viene sconvolta dall’incontro con Rossana, una ragazza cinese, bella e riservata, che dopo la scuola trascorre il suo tempo nel ristorante dei suoi genitori, immigrati in Italia dalla Cina.

Toto fa di tutto per conoscerla, frequentarla e far breccia nel suo cuore. Non si arrende di fronte alle resistenze di lei, riuscendo alla fine a vincerle.

L’incontro tra i due ragazzi diventa un’occasione di confronto tra due culture, la cultura italiana e quella cinese, e mette in luce differenze, difficoltà e incomprensioni che emergono quando ci si trova di fronte una realtà diversa da quella a cui siamo abituati. Se Toto sogna un futuro da calciatore professionista, Rossana deve fare i conti con la propria identità e le tradizioni della sua famiglia. Vive in bilico tra la cultura del suo Paese di origine e quella della realtà in cui vive, stretta tra la voglia di libertà e le pressioni familiari.

Il romanzo, nella sua semplicità, che si riflette in uno stile discorsivo e in una trama lineare e senza grandi colpi di scena, in alcuni passaggi forse un po’ scontata, pone dei temi importanti e decisamente attuali. Oltre a parlare di amicizia e amori adolescenziali, tematiche senza tempo, la storia di Toto e Rossana è una storia che parla di immigrazione e di voglia di integrazione.

Purtroppo, però, nonostante per scrivere Non chiamarmi Cina!, Luigi Ballerini si sia basato sulle testimonianze reali di un ragazzo italiano e una ragazza cinese, in alcuni passaggi finisce col proporre i soliti stereotipi che tornano con insistenza quando si parla della comunità cinese in Italia, rendendo la storia a tratti un po’ forzata.

A parte questo, è sicuramente una lettura godibile in cui molti ragazzi dell’età dei protagonisti possono riconoscersi, portandoli anche a riflettere su cosa significhi trovare la propria identità quando ci si sente parte di due culture profondamente diverse.

 

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Non chiamarmi Cina!
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