Un anno fa la Cina lanciava la sua sfida a Wikipedia: ventimila studiosi chiamati a redarre 300mila voci. Un progetto ambizioso che prosegue la millenaria tradizione enciclopedica della Cina, dai leishu alle enciclopedie digitali

È stata etichettata come la Grande Muraglia della cultura e sfiderà il primato di Wikipedia. L’enciclopedia online made in China, annunciata un anno fa dal direttore del progetto e presidente della Book and Periodical Distribution Association of China, Yang Muzhi, si avvarrà della collaborazione di circa 20mila accademici e ricercatori, selezionati per compilare le 300mila voci previste. L’obiettivo è di riuscire a mettere online l’enciclopedia entro quest’anno. Una sfida quasi impossibile secondo molti, vista la notevole mole di lavoro. Ma i cinesi hanno alle spalle una tradizione enciclopedica lunga quasi duemila anni, iniziata con la stesura dell’Huanglan e proseguita nel corso dei secoli con Yiwen Leiju, Yongle Dadian e l’Enciclopedia Sinica, solo per citare gli esempi più noti. Nell’era del digitale, quindi, era inevitabile che la Cina si impegnasse per ritagliarsi sempre più spazio anche sugli “scaffali” del web.

HUANGLAN

Non è rimasto niente oggi della prima enciclopedia made in China. Fu l’imperatore di Wei, Cao Pi, a incaricare nel 220 un gruppo di studiosi confuciani di compilare Huanglan, nota anche come Imperial Speculum, The Imperial Survey o Imperial Anthology, con l’obiettivo di mettere insieme un compendio di tutto il sapere dell’epoca utile per l’imperatore stesso e i suoi ministri. Ci vollero un paio d’anni per completare l’opera, che sopravvisse per parecchi secoli, almeno fino alla dinastia Song (960-1279), quando se ne persero le tracce. Alcuni rimandi a questa prima enciclopedia cinese, però, si ritrovano nelle raccolte successive, che proliferarono nei secoli seguenti e per le quali Huanglan rappresentò un modello a cui ispirarsi. Non si trattava di un’enciclopedia come quelle a cui siamo abituati in Occidente, ma di una raccolta di citazioni tratte da fonti scritte e classificate in base a diverse categorie, genere che in cinese viene indicato con il termine leishu e in Occidente accomunato al concetto di opera enciclopedica.

Tra il III e il XVIII secolo, secondo quanto riportato dalla sinologa americana Harriet Thelma Zurndorfer in Encyclopaedism from Antiquity to the Renaissance, in Cina furono compilate seicento leishu, di cui circa duecento sono arrivate fino ad oggi. Tra queste, solo per citarne un paio, ci sono una parte di Bianzhu, letteralmente la “Composizione di perle”, risalente al periodo dei Sui (581-618), compilata sempre per ordine imperiale e tradizionalmente attribuita a Du Gongzhan, e Yiwen leiju, “Raccolta di letteratura per categorie”, completata nel 624, sotto la dinastia Tang (618-907), da Xun Ouyang e composta da un centinaio di capitoli. Quest’ultima è un esempio significativo del nuovo tipo di leishu che iniziò a comparire in seguito all’introduzione degli esami imperiali obbligatori per l’accesso agli incarichi di governo. A differenza dalle opere precedenti, dirette essenzialmente a fornire informazioni a imperatori e ministri, le raccolte enciclopediche del periodo successivo raccolsero soprattutto informazioni generali e conoscenze letterarie necessarie per affrontare gli esami imperiali. Sempre durante la dinastia Tang fiorirono anche enciclopedie dedicate a particolari argomenti, come il buddismo e l’astrologia.

YONGLE DADIAN

Ma bisogna arrivare alla dinastia Ming (1368-1644) per trovare una delle opere leishu più note. Commissionata dall’imperatore Yongle e nota come Yongle Dadian, è stata completata nel 1408, dopo quattro anni di lavoro di oltre duemila studiosi che, coordinati da Yao Guangxiao, misero insieme migliaia di testi degli argomenti più disparati, dall’agricoltura alle scienze naturali, passando per medicina, astronomia, arte, storia e letteratura, dai tempi antichi fino all’inizio della dinastia Ming. Ne risultò un’opera monumentale, composta da 370 milioni di caratteri, raccolti in quasi 23mila volumi manoscritti. Proprio la mole impedì la stampa xilografica della Yongle Dadian, ma nel secolo successivo l’imperatore Jiajing ne ordinò una trascrizione, della quale sono sopravvissuti fino a oggi circa quattrocento volumi.

Fu data, invece, alle stampe nel 1726, durante la dinastia Qing (1644-1911), la Gujin tushu jicheng, “Collezione illustrata di letteratura antica e moderna”, realizzata nel periodo di regno degli imperatori Kangxi e Yongzheng da un gruppo di studiosi guidati da Chen Menglei, che raccolsero l’intero patrimonio culturale cinese in 100 milioni di caratteri e oltre 850mila pagine.

Ma la più vasta enciclopedia leishu arrivò qualche decennio dopo, quando l’imperatore Qianlong lanciò il progetto di realizzare un’opera enciclopedica che superasse l’Enciclopedia Yongle di epoca Ming, per dare un segnale della superiorità dei Qing. Così, nel 1782 fu pubblicata la Siku Quanshu, “La totalità dei volumi dei quattro magazzini”. Un’opera vastissima composta da oltre 36mila volumi, 79mila capitoli, 2,3 milioni di pagine e 800 milioni di caratteri.

DA LEISHU A ENCICLOPEDIE

Con l’avvento della Repubblica, in Cina cominciano ad apparire enciclopedie in stile occidentale. Le prime furono l’Enciclopedia Sinica, nel 1917, compilata in inglese dal missionario inglese Samuel Couling, e Cihai, “Mare di parole”, nel 1938. Negli anni Ottanta, poi, in seguito a un accordo tra la Greater Encyclopedia of China Publishing House e l’Enciclopedia britannica, la quindicesima edizione dell’Enciclopedia Britannica venne tradotta in cinese.

DALLA CARTA AL WEB

Nell’era del digitale, però, anche la Cina decide di mandare in pensione le sue enciclopedie cartacee. Già nel 2003 ha fatto la sua comparsa la versione cinese di Wikipedia, mentre nel 2005 sono arrivate le enciclopedie Baike.com e Baidu, che proprio come Wikipedia si avvalgono dei contributi degli utenti. Nel 2011 il Consiglio di Stato ha approvato il progetto di compilare una propria enciclopedia virtuale consultabile sul web in grado di «guidare il pubblico e la società», come ha sottolineato Yang Muzhi, direttore del progetto. Le oltre 300mila voci che la comporranno, di circa mille parole ognuna, saranno suddivise in 103 categorie. Una mole di informazioni con cui l’opera non solo doppierà l’Enciclopedia Britannica, ma uguaglierà la versione cinese di Wikipedia. A differenza, però, di quanto succede per la sua concorrente più famosa, le voci non potranno essere modificate liberamente dagli utenti, visto che non sarà aperta a contributi volontari. Tutto è nelle mani dei 20mila selezionatissimi studiosi, che con il loro lavoro sono chiamati a «mostrare gli ultimi sviluppi della scienza e della tecnologia, promuovere il patrimonio storico, aumentare il soft power culturale e rafforzare i valori fondamentali del socialismo», ha sottolineato il presidente dell’Accademia cinese delle Scienze, Bai Chunli.

Lea Vendramel – Cina in Italia – Luglio 2017